Intervista a Marco Manray Cadioli – 254
Da: Link. Idee per la televisione N5 "Pubblico e tv"
"Internet è definitivamente uno spazio, un’altra possibile realtà che si sta sviluppando." Inizia così il manifesto che Marco Manray, al secolo Marco Cadioli, scrive nel 2003 in procinto di iniziare il suo progetto artistico di net reporter, Internet Landscape. L’obiettivo è quello di fermare il presente della Rete, contemplarlo nella sua realtà con uno sguardo aperto, prima e fuori di ogni teoria.
Perché Internet è un territorio situato nel tempo e come tale in costante evoluzione. Ogni cosa accade una volta sola proprio come nel mondo reale, per questo la testimonianza, l’esserci stato, diventa al tempo stesso cronaca e arte. Per Marco Manray, a partire dal 2006, il confine da esplorare diventa Second Life. Nasce così il lavoro My First Second Life – marco manray reporter in SL, che nel giro di pochi mesi, grazie all’hype generato da SL, porta Cadioli a diventare uno dei primi net reporter al mondo. I suoi lavori vengono pubblicati da importanti magazine e quotidiani, tra cui Libération, Le temps, El Pais, Corriere della Sera , la Repubblica, Elle Decor, Casa Amica e tanti altri. A Link racconta il suo lavoro e l’importanza di capire SL, al di là del marketing e della moda.
Descrivendo quello che fai all’interno di Second Life, tutti rimangono sbalorditi. Partiamo dal tuo lavoro di net reporter.
Il mio lavoro di fotografo del mondo virtuale inizia prima di My first Second Life. Avevo già lavorato a due progetti, uno nel 2003, Internet Landscape, dove fotografavo le pagine Web, e uno nel 2005, Arenae, nel quale fotografavo scenari di guerra all’interno di videogiochi online. Sono entrato in SL per raccontarne lo sviluppo, convinto che stesse accadendo qualcosa di irripetibile. Dal punto di vista tecnico fare fotografia è uno strumento di default in SL, tutti possono scattarle. Si tratta di un tastino che ti permette di catturare lo schermo, ma l’inquadratura è tutta da costruire, sono io che muovo la macchina per ottenere un certo risultato. Questa è la differenza: una macchina fotografica la comprano tutti anche nelle vita reale, ed è uguale per tutti, però la si usa in modi diversi, in modi che dipendono dai riferimenti che uno possiede. Si può dire che sia un semplice screen-shot, ma poi le mie foto non hanno nulla a che fare con quelle di un altro. Anche nella vita reale è così, perché se ora in tre fotografiamo lo stesso soggetto avremo tre fotografie diverse. Di solito io uso la luce naturale perché mi piace raccontare le cose che accadono nella loro realtà. In SL c’è un ciclo di giorno/notte, quindi ci sono passaggi di luce, alba, mezzogiorno, tramonto, notte, ma non è un ciclo di 12 ore alternate, dura meno rispetto alla realtà. Si possono vedere moltissime albe e moltissimi tramonti. Il fuso orario, comunque, è quello della West Coast statunitense, quello di San Francisco.
Puoi passare ore a fotografare uno stesso soggetto aspettando la luce giusta?
Sì, con in più la possibilità di muovere il sole; in SL è possibile fare un intervento di questo tipo, ma io personalmente lo faccio di rado. Anche i ritratti che scatto sono tutti ambientati: a me non interessa la faccia di quell’ avatar in quanto tale, ma il senso del suo agire. La serie Second Lifers che ho realizzato per Libération è costituita da ritratti di persone che vivono attivamente SL, quindi c’è un architetto, un filosofo, un fashion designer, un gallerista, sono ritratti di persone che stanno costruendo la Rete. È questo che mi interessa.
Qual è il tuo obiettivo?
Ho cominciato a fare foto ai mondi virtuali per sapere com’è cominciato tutto questo. L’ho fatto quando venivo preso mediamente per pazzo, ma ero convinto che fotografare quel momento sarebbe stato fotografare un attimo che sarebbe passato. E questa non è la natura, ma l’uomo che sta creando, e sta decidendo come fare il mondo. Non è un atto neutro. E quindi ho cominciato a fotografarlo per fermare quel momento di nascita.
Come fai a sapere dove stanno nascendo le cose, quando c’è un determinato evento?
Ci sono molti modi, si può seguire la stampa interna, ci sono una miriade di blog e c’è il passaparola, che è la cosa che funziona meglio. Essendo io un fotografo di SL abbastanza riconosciuto, spesso mi chiamano gli stessi organizzatori degli eventi. Quando fotografavo per The AvaStar, la principale rivista interna a SL, facevo riunioni di redazione in cui si parlava con il direttore e venivano pianificati i servizi. Dove andare, cosa fotografare.
Sapresti fare qualche esempio di argomenti trattati da The AvaStar?
Si occupa soprattutto di gossip, fashion, del mercato immobiliare, dei principali eventi, a differenza di molti altri giornali interni parla esclusivamente di SL.
Ci puoi raccontare l’evoluzione di SL di cui sei stato testimone?
Quando sono entrato in SL c’erano 20.000 persone, oggi sono 4 milioni, quindi molto è cambiato. E proprio in questi giorni sta cambiando ancora. C’è stato un incremento esponenziale, il 2005 si è chiuso con 100.000 residenti, il 2006 con 1,5 milioni e nel febbraio 2007 sono arrivati a 4. Con queste cifre parliamo in generale di account, senza andare nel dettaglio (coloro che sono entrati una volta e non ci torneranno più, coloro che hanno due account eccetera). Si calcola che almeno il 10% di loro, comunque, sia attivo.
Quali sono gli eventi di cui sei stato testimone e che secondo te hanno rappresentato una svolta?
L’ingresso delle aziende è stato molto importante. Ho le foto dell’opening di American Apparel, che è il primo brand di moda reale entrato in SL; sono andato a vedere il primo giorno dell’agenzia Reuters, che ha portato la parola Second Life sulla stampa di tutto il pianeta facendo incrementare i residenti; sono andato a fare foto alla sede di Wired, ai primi concerti su Muse Island, un’isola dedicata alla musica live. Molti dei miei reportage sono "la prima volta" di qualcosa, come per la politica le foto scattate a Ségolène Royal e Le Pen. In un certo senso anche io sono figlio di questo, il primo che si è messo a fare queste cose a livello professionale…
Tu conosci solo gli avatar o anche le persone reali?
Solo gli avatar. È raro conoscere queste persone nella realtà, anche se mi è capitato di recente con una mia amica artista, Juliette, durante un evento milanese su SL alla casa editrice ShaKe. È stato disorientante perché non avevo la minima idea di quale aspetto avesse, sia io che lei siamo fisicamente molto diversi dal nostro avatar. C’è chi si progetta uguale alla realtà, ma io e lei no. Si può apparire uomo, donna, animale; il corpo non è la nostra vera identità, può prendere forme sempre nuove. Viceversa la scelta del nome in SL è una cosa molto vincolante, lo si sceglie una volta e rimane per sempre. Da quando sono entrato in SL ho cambiato almeno quattro avatar, anche se la mia è più un’evoluzione che un travestimento, ho fatto piccole modifiche, come cambiare il colore di capelli e qualche abito. L’identità però rimane quella: io sono Marco Manray e rimango Marco Manray. Per fare foto non uso coperture. Non è un gioco, perché se la mia foto esce sulla stampa o sul mio blog sono io che ne rispondo; non mi è ancora capitato di far firmare liberatorie, però le persone devono sapere che sto facendo delle foto.
Stai facendo più un lavoro da fotoreporter o da artista?
Secondo me in tutta la prima fase erano la stessa cosa; raccontare SL all’inizio era un gesto artistico, e penso che tutte le foto che ho venduto alla stampa per tutto quel periodo siano state un gesto artistico. Poi l’interesse è cresciuto al punto che hanno cominciato a commissionarmi veri e propri lavori da fotoreporter. Quindi ora mi trovo in una fase in cui sto leggermente separando i due percorsi e ho dei clienti diretti, tipo lo stilista che arriva e mi chiede un servizio per la sfilata. Per Casa Amica, per esempio, ho realizzato un servizio di sei pagine con una doppia pagina di copertina sugli spazi abitativi. È in uscita un lavoro per Elle Decor sul design degli interni, per realizzarlo sono andato a casa di amici, da una modella, da una fotografa, case abitate quotidianamente. C’è di tutto, ci sono negozi di design dove trovi il divano di Le Corbusier, linee tracciate da designer molto bravi e trovi poi il kitsch. Tanto kitsch. Da professionista mi interessano di più queste cose che non l’aspetto giornalistico/di cronaca di SL.
E si possono comprare oggetti anche per il mondo reale?
Non ancora, ma tecnicamente è possibile, perché si passa ancora per il Web. Tutto è talmente in evoluzione che mentre parliamo qualcuno lo sta già facendo.
Perché le aziende entrano in SL?
Per essere pronte quando le cose cambieranno. Per studiare in maniera intelligente quello che succede. Perché ci vanno tutti. Per far parlare di loro. Perché oggi qualsiasi cosa succeda in SL garantisce la notizia sui quotidiani. In questo momento le aziende stanno facendo questo, promozione del marchio. E scouting del territorio…
SL è un secondo mondo, ma dalle tue descrizioni sembra incredibilmente uguale al mondo reale. C’è anche un quartiere a luci rosse che si chiama Amsterdam… Ci sono dei casi in cui si è generato qualcosa di completamente diverso rispetto alla vita reale?
Secondo me succede tra gli artisti. Nella Rete, il ruolo degli artisti, come durante lo sviluppo del Web, è tornato a essere di avanguardia. Sperimentano linguaggi e soluzioni che verranno poi adottati su grande scala. Mentre le aziende entrano per lo più con un banale livello di riproduzione degli schemi comportamentali, di business e marketing rodati del mondo reale, gli artisti, come sempre, sono quelli che sperimentano. Pensate per esempio al cubo di Juliette, l’artista che ho menzionato prima, a quanto spacchi il concetto di architettura reale: ha creato uno sky-box nel cielo, sfaccettato, assolutamente intricato e allucinante, all’interno del quale si sta piacevolmente e che sarebbe assolutamente impossibile nella realtà. Molti invece spendono un sacco di soldi per costruire sedi di cinque piani con le scale interne. Viceversa The AvaStar ha realizzato un progetto molto originale: sono cinque sfere sospese nell’aria e l’unico modo di raggiungerle è quello di teletrasportarsi.
C’è una tua foto che ritrae un uomo vicino a una montagna, che cosa sta facendo?
Si tratta di un avatar che costruisce una montagna, quando l’ho visto sono rimasto sbalordito: un piccolo uomo che costruisce un’opera così grande. Ho cercato di rendere questo scarto – dove si annida la possibilità dell’arte – attraverso le mie fotografie, un omino che costruisce una montagna… È stato molto emozionante essere lì mentre vedevo l’opera cambiare forma davanti ai miei e ai suoi occhi. Sugar Mountain, questo il suo nome, adesso è finita e ci hanno costruito sopra delle case. Non verrà più modificata.
Ci sono anche designer e architetti che sviluppano mondi possibili?
Sì, ce ne sono. Negli ultimi mesi quelli che erano dei privati che si divertivano a costruire per sé, ora stanno diventando grossi studi che prendono clienti reali. Perché quando qualcuno vuole costruire uno spazio e non sa come farlo deve rivolgersi a qualcun altro. Come nel mondo reale. Ci sono professioni che si stanno rivelando molto vantaggiose anche dal punto di vista economico, c’è chi modella le case, chi le arreda… Lo stesso vale per tutti gli oggetti. Anche per le inaugurazioni e le feste è così: serve il catering, servono i bicchieri, i palloncini e tutto il resto. Poi bisogna occuparsi degli inviti, avere reti di contatti. Non è un caso che esistano anche organizzatori di eventi. È tutto legato alle relazioni che hai. Le feste, tra l’altro, hanno un valore sociale molto importante, alcune sono talmente curate da adottare un dress-code. Mi è capitato di incontrare gente che fino al giorno prima girava con un avatar a torso nudo, tatuaggi e quant’altro, che indossava un abito da sera, giacca e cravatta. Roba da pazzi.
Dunque le formalità del mondo reale vengono riprese anche in SL? Curioso che dove si ha la libertà di cambiare le cose si tenda invece a conservarle.
Io non mi concentro molto sulle riflessioni sociologiche, però sta di fatto che molte cose vengono riproposte uguali. Per esempio la gente fa le scale quando potrebbe volare! Un gradino alla volta quando finalmente, seppure virtualmente, può volare! E comunque se voi mi aveste intervistato in SL, probabilmente ci saremmo seduti intorno a un tavolo rotondo come questo. Non saremmo stati su una spiaggia.
Il nome che hai in SL è Manray. C’è ovviamente un riferimento a Man Ray…
Più di quanto tu possa pensare, perché è un object trouvé. In SL il nome lo puoi scegliere liberamente, ma il cognome lo trovi su un elenco dal quale prenderne uno, e questo elenco cambia. Il giorno in cui mi sono iscritto io tra i cognomi disponibili c’era Manray. Era lì da prendere e l’ho preso.
Senti di appartenere a una tradizione di artisti e fotografi? Quale?
Potrei fare il nome di Robert Frank, che ha ritratto la popolazione americana degli anni ’50 nel libro The Americans. Non è un caso che abbia fatto una serie chiamata The Second Lifers. C’è anche August Sander, che fotografava gli uomini del XX secolo in Germania. I miei riferimenti visivi sono fuori da SL. Nel mio progetto sono partito dal noema della fotografia di Roland Barthes ( La camera chiara). In SL il noema, l’esserci stato, è molto forte, se vedi una mia foto è perché quella cosa è stata. Non mi interessa l’aspetto della manipolazione delle immagini, questo è il patto tra me artista e te fruitore: potrebbero essere manipolate, ma io ti dico che sono vere; è il mio progetto che determina che siano vere. Inseguo l’attimo fuggente di Cartier-Bresson, perché il soggetto che catturo, un attimo dopo è veramente diverso. "La forza di una fotografia è nel conservare momenti che il normale fluire del tempo sostituisce immediatamente." Sto citando Susan Sontag. Nel 2003 avevo scritto il mio progetto in chiave programmatica, quando era solo un’idea nella mia testa, niente di reale. Avevo scritto: "Viaggio nella rete come un turista per l’Europa" e avevo in mente l’immagine del turista americano con la camicia a fiori e la macchina fotografica al collo. Susan Sontag dice che si viaggia per fare foto, che quella foto ti dirà che tu sei stato lì, è la cosa che ti porterai a casa.
Che cosa hai imparato dal percorso che hai fatto?
Mi sta dando tantissimo. Una forte immersione in quello che sta succedendo, una forte proiezione rispetto a un futuro che è già qua, che è già accaduto. Molti stanno cominciando a vivere in quella fascia di sovrapposizione tra real-life e second-life. Faccio scatti nei mondi virtuali e li porto fuori; è la mia performance proiettare nel mondo reale le foto e raccontare come ne I viaggi di Gulliver quello che ho visto. Mi piace vedere le persone che rimangono affascinate da quello che gli mostro. Racconto a chi non c’è stato… racconto il mondo che ho visto. Ma questo non può durare in eterno, perché tra un po’ tutti ci andranno. Oggi diamo per scontate le foto di Cartier-Bresson, ma quando le scattava nessuno dei suoi spettatori era mai stato in Estremo Oriente, era un mondo sconosciuto. C’era – come oggi – lo stupore.